La fede di Gesù: obbediente sino alla morte di croce
Introduzione
“La fede di Gesù” fa problema dal punto di vista teologico: la fede può essere attribuita a Gesù? oppure la sua relazione con Dio era di altro genere? Evidentemente non possiamo ragionare soltanto con degli a posteriori, come se si trattasse di un problema da risolvere con logica deduttiva, in base agli schemi angusti della sistematica teologica. Il problema non può essere esclusivamente di ordine dottrinale. Nella Summa Theologiae, Tommaso d’Aquino pone la domanda se in Cristo ci sia stata la fede. La sua risposta è negativa: “Siccome Cristo, sin dal primo istante del suo concepimento, ha visto Dio pienamente per essentiam, in nessun modo la fede è potuta essere in lui”.[1] Piuttosto, il problema sta in primo istanza nel recepire il messaggio neotestamentario nella sua ricchezza; e questo potrebbe servire anche ad allargare i nostri angusti orizzonti teologici.
Nel Nuovo Testamento due soli passi contengono il sintagma πίστις Ἰησοῦ:
Rom 3,26: ἐν τῇ ἀνοχῇ τοῦ θεοῦ, πρὸς τὴν ἔνδειξιν τῆς δικαιοσύνης αὐτοῦ ἐν τῷ νῦν καιρῷ, εἰς τὸ εἶναι αὐτὸν δίκαιον καὶ δικαιοῦντα τὸν ἐκ πίστεως Ἰησοῦ.
nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi è dalla fede di Gesù.
Ap 14,12: Ὧδε ἡ ὑπομονὴ τῶν ἁγίων ἐστίν, οἱ τηροῦντες τὰς ἐντολὰς τοῦ θεοῦ καὶ τὴν πίστιν Ἰησοῦ.
Qui sta la costanza dei santi, che custodiscono i comandamenti di Dio e la fede di Gesù.
In Rom 3,26 Paolo scrive che Dio è “giusto e giustificante, giustifica colui che è dalla πίστις Ἰησοῦ” (Rom 3,26). Qui è possibile tradurre: “Colui che è dalla fede di Gesù”, perché il significato più frequente di πίστις è “fede”. Però, si potrebbe obiettare:
- 1) anche se viene adottata questa traduzione, non necessariamente risulta che la fede sia attribuita a Gesù nel senso che Gesù abbia creduto. Infatti, “la fede di Gesù” può significare “la fede cristiana”, “la fede che va a Dio per la mediazione di Gesù”;
- 2) il senso di πίστις può anche essere più ampio rispetto al solo significato di “fede”. Occorre infatti ricordare che il termine greco πίστις non è univoco; non ha soltanto il senso di “fede”, ma può anche significare “fedeltà”, “affidabilità”, “credito” e perfino “mezzo di persuasione”. Tutte queste possibilità vanno senza dubbio tenute presenti quando Paolo parla della πίστις Ἰησοῦ (Rom 3,26), della πίστις Χριστοῦ (Gal 2,16; Fil 3,9), della πίστις Ἰησοῦ Χριστοῦ (Gal 2,16; 3,22; Rom 3,22), della πίστις υἱοῦ θεοῦ (Gal 2,20).
Quando l’Apocalisse parla di “quelli che osservano i comandamenti di Dio e la πίστις Ἰησοῦ” (Ap 14,12; cf 2,13), quella πίστις potrebbe anche essere la fede suscitata adesso da Cristo, la fede che mette in relazione con lui. In questo senso Giacomo dice che i discepoli hanno “la πίστις del Signore nostro Gesù Cristo della gloria” (Gc 2,20). Infatti la relazione del Signore della gloria con Dio non è una relazione oscura di fede, ma una visione “a faccia a faccia” (cf. 1 Cor 13,12).
La Lettera agli Ebrei, che parla molto della fede, non usa mai πίστις con un complemento riferito a Gesù; non dice mai πίστις Ἰησοῦ o πίστις Χριστοῦ. Contiene però tre passi che aiutano a comprendere i rapporti tra Gesù e la fede. Vorrei quindi rileggere questi tre testi per impostare la mia riflessione sulla fede di Gesù, obbediente sino alla morte e alla morte di croce.
1) Ebrei 12:2
BNT ἀφορῶντες εἰς τὸν τῆς πίστεως ἀρχηγὸν καὶ τελειωτὴν Ἰησοῦν, ὃς ἀντὶ τῆς προκειμένης αὐτῷ χαρᾶς ὑπέμεινεν [τὸν[2]] σταυρὸν αἰσχύνης καταφρονήσας ἐν δεξιᾷ τε τοῦ θρόνου τοῦ θεοῦ κεκάθικεν [εκαθισεν[3]].
Molte le sfumature che rendono insidiosa la traduzione del testo:
*ἀφοράω εἰς
*πίστις
*ἀρχηγός
*τελειωτής
*ἀντί
*πρόκειμαι
*χαρά ≠ αἰσχύνη
*ὑπομένω
*σταυρός
*καταφρονέω
*ἐν δεξιᾷ τε τοῦ θρόνου τοῦ θεοῦ
*καθίζω
HNT 1לָכֵן גַם־אֲנַחְנוּ אַחֲרֵי אֲשֶׁר הֲמוֹן עֵדִים כָּאֵלֶּה עֹטְרִים אֹתָנוּ כַּעֲנָנִים מִסָּבִיב נַשְׁלִיכָה מִמֶּנּוּ כָּל־מַשָּׂא וְחֵטְא אֲשֶׁר יִגְדְּרוּ בַעֲדֵנוּ תָמִיד וְעַל־גַּב תּוֹחֶלֶת נָרוּצָה בַמֵּרוֹץ הֶעָרוּךְ לְפָנֵינוּ׃
וְעֵינֵינוּ אֶל־יֵשׁוּעַ צוּר אֱמוּנָתֵנוּ הַגֹּמֵר עָלֵינוּ אֲשֶׁר בַּעֲבוּר הַשִּׂמְחָה הַזְּרוּעָה לוֹ נָשָׂא עֵץ סֻבֳּלוֹ וְאֶת־הַחֶרְפָּה בָזָה 2 וַיֵּשֶׁב לִימִין כִּסֵּא הָאֱלֹהִים׃
MIA 1 Perciò anche noi, seguendo una tale moltitudine di testimoni, dopo aver deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che si sta davanti, 2 con gli occhi su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, in ragione della gioia postagli innanzi, sopportò la croce, disprezzandone il disonore, e si è assiso alla destra del trono di Dio.
Nuova CEI 1 Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che si sta davanti, 2 tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, in cambio della gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Per capire di quale πίστις si tratti, dovremmo rileggere Eb 11: una fede che riporta tutte le vittorie e sopporta tutte le prove, perché si ha davanti quella determinata figura di Dio, che non si ha nemmeno la necessità di esplicitare (l’autore infatti, nella maggioranza dei casi, non esplicita la relazione a Dio; parla, ad es., della vocazione di Abramo e della sua obbedienza senza nominare Dio in 11,8). Ci sono tuttavia in Eb 11 tre frasi nelle quali il contenuto della fede viene messo in rapporto con Dio.
1) La prima è una massima generale: «Chi si avvicina a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano» (11,8). Questa frase lascia intendere che l’esistenza di Dio non è evidente e nemmeno la sua retribuzione. E Gesù, in modo primaziale, ha creduto in un Dio così:
Non startene nascosto
nella tua onnipresenza. Mostrati,
vorrebbero dirgli, ma non osano.
Il roveto in fiamme lo rivela,
però è anche il suo impenetrabile nascondiglio.
E poi l’incarnazione – si ripara
dalla sua eternità sotto una gronda
umana, scende
nel più tenero grembo
verso l’uomo, nell’uomo... sì,
ma il figlio dell’uomo in cui deflagra
lo manifesta e lo cela...
Così avanzano nella loro storia.[4]
2) La seconda frase esprime la fede di Sara dicendo che ella «ritenne fedele» — o affidabile (πιστόν) — «colui che aveva promesso» (11,11). Qui viene espresso il rapporto della fede con la parola di Dio, la quale prende la forma di una promessa. Però appare anche l’aspetto di relazione personale, perché il testo non dice che Sara ritenne affidabile la promessa, ma colui che aveva promesso. Per mezzo di questa relazione personale, Sara ottenne la cosa sperata, cioè «una capacità di fondare una discendenza». D’altra parte, viene sottinteso che l’affidabilità o la fedeltà di Dio non sono cose evidenti e quindi che la fede sta in una situazione di oscurità. E questa professione di fede, vale in primis per la relazione di Gesù al Padre!
3) La terza frase è detta a proposito del sacrificio di Abramo, per spiegare che il patriarca non esitò a offrire il figlio «del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome»(11,17); non esitò perché «calcolava che Dio è capace di svegliare anche dai morti» (11,19). È vero che il verbo qui utilizzato, λογισάμενος, suggerisce che si tratti di una conclusione logica, ma questa poggia sul presupposto di fede in una certa figura di Dio:
THÀNATOS ATHÀNATOS
E dovremo dunque negarti, Dio
dei tumori, Dio del fiore vivo,
e cominciare con un no all'oscura
pietra «io sono» e consentire alla morte
e su ogni tomba scrivere la sola
nostra certezza: «thànatos athànatos»?
Senza un nome che ricordi i sogni
le lacrime i furori di quest'uomo
sconfitto da domande ancora aperte?
Il nostro dialogo muta; diventa
ora possibile l'assurdo. Là
oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi
vigila la potenza delle foglie,
vero è il fiume che preme sulle rive.
La vita non è sogno. Vero l'uomo
e il suo pianto geloso del silenzio.
Dio del silenzio, apri la solitudine.[5]
Queste tre dimensioni della fede sono strettamente coerenti con la אֱמוּנָה biblica: essa è una relazione personale con Dio, creduto esistente malgrado la sua invisibilità, onnipotente nella sua apparente debolezza, una relazione che rende possibile accettare la sua promessa, malgrado la sua non-evidenza; questa relazione dà il possesso anticipato di cose sperate e la conoscenza di realtà non vedute (cf 11,1).
Proprio per questo Gesù può essere detto ἀρχηγός e τελειωτής della fede.
Etimologicamente ἀρχηγός significa “capo dell’inizio”; ἀρχή vuol dire “inizio” e il suffisso -ηγός significa colui che guida, il capo (cf strat-egos, chor-egos, hod-egos). Il titolo ἀρχηγός veniva dato al fondatore di una colonia greca in regione straniera e anche al dio considerato fondatore di una città (Platone, Timeo 21a). La parola può anche avere un senso più ampio: autore, causa, principio. Nei LXX ha una trentina di occorrenze, traduce per lo più l’ebraico רֹאשׁ “capo”, e designa un capo politico o militare. Può anche significare “causa”, “istigatore” (“del peccato”: Mi 1,13; “della malvagità”: 1 Mac 9,61), senso che si ritrova nella Lettera di Clemente (1 Clem. 14,1; 51,1). Nel Nuovo Testamento si trova 4 volte, sempre come titolo dato a Gesù, nominato τὸν δὲ ἀρχηγὸν τῆς ζωῆς in At 3,15, ἀρχηγὸν καὶ σωτῆρα in At 5,31, τὸν ἀρχηγὸν τῆς σωτηρίας in Eb 2,10 e τῆς πίστεως ἀρχηγὸν in Eb 12,2.
L’interpretazione del termine in questo passo è d’importanza decisiva per capire la fede di Gesù. Si tratta evidentemente di Gesù durante la sua vita terrena, non del Figlio di Dio nella sua pre-esistenza, né di Cristo come sta adesso, dopo la sua glorificazione pasquale. Nella pre-esistenza, la relazione del Figlio con il Padre non comporta la minima oscurità, giacché il Figlio è «irradiazione della gloria» del Padre (Eb 1,3). La situazione è simile per Cristo dopo la sua glorificazione. Il rapporto di Cristo glorioso con la fede non fa di lui un credente, ma la base della fede per tutti i credenti. Cristo va riconosciuto «degno di fede» (πιστός: 3,2) «in qualità di Figlio costituito sopra la sua casa» (3,6), «sopra la casa di Dio» (10,21); «la sua voce» deve essere ascoltata con fede come voce divina (3,7.12).
Il problema riguarda dunque soltanto l’esistenza terrena di Gesù, anche se il titolo ἀρχηγὸς τῆς πίστεως appartiene ormai a Cristo glorificato; gli appartiene, infatti, perché l’ha acquisito durante la sua esistenza terrena, morte compresa. Se ἀρχηγός viene capito nel senso di “autore” o “causa”, la fede non è attribuita a Gesù, il quale non è un semplice credente, ma colui che suscita la fede nei cuori. Se invece ἀρχηγός viene tradotto «pioniere» (o simili), allora Gesù è stato il primo dei credenti, non in senso cronologico, ma in senso assiologico, ovvero: Gesù è il primo ad avere quella fede capace di sormontare gli ostacoli più terribili, compresa una morte da condannato dalla Legge come compimento di una vita spesa per amore sino all’estremo.
Per appoggiare questa interpretazione, è possibile ricorrere all’altro uso di ἀρχηγός nella Lettera agli Ebrei (2,10). Le relazioni tra Eb 12,2 e Eb 2,10 sono strette, e le dobbiamo vedere subito di seguito.
2) Ebrei 2:9-10
BNT τὸν δὲ βραχύ τι παρ᾽ ἀγγέλους ἠλαττωμένον βλέπομεν Ἰησοῦν διὰ τὸ πάθημα τοῦ θανάτου δόξῃ καὶ τιμῇ ἐστεφανωμένον, ὅπως χάριτι θεοῦ ὑπὲρ παντὸς γεύσηται θανάτου. 10 ἔπρεπεν γὰρ αὐτῷ, δι᾽ ὃν τὰ πάντα καὶ δι᾽ οὗ τὰ πάντα, πολλοὺς υἱοὺς εἰς δόξαν ἀγαγόντα τὸν ἀρχηγὸν τῆς σωτηρίας αὐτῶν διὰ παθημάτων τελειῶσαι.
9 אֲבָל רֹאִים אֲנַחְנוּ אֶת־יֵשׁוּעַ הַהוּא אֲשֶׁר חִסְּרוֹ מְעַט מֵאֱלֹהִים וַיְעַטְּרֵהוּ כָבוֹד וְהָדָר עֵקֶב חֶבְלֵי הַמָוֶת אֲשֶׁר אֲפָפוּהוּ כִּי בְחֶסֶד־אֵל טָעַם טַעַם הַמָּוֶת בְּעַד כֻּלָּם׃ 10 כִּי הוּא אֲשֶׁר הַכֹּל לְמַעֲנֵהוּ וּמִיָּדוֹ הַכֹּל הָדָר הוּא לוֹ לְהַנְחוֹת בָּנִים רַבִּים לִגְאוֹן עֻזָּם וּלְהַשְׁלִים אֶת־שַׂר יְשׁוּעָתָם בְּכוּר עֹנִי׃
MIA Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché con la grazia di Dio a favore di tutti gustasse la morte.
10 Era opportuno infatti per Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendere perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che li guida alla salvezza.
Nuova CEI Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
10 Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.
Anche in questa frase, come in Eb12,2, l’autore mette in rapporto un inizio (ἀρχή in ἀρχηγός) e una fine (τέλος) o più precisamente un compimento (τελείος finito, cioè perfetto; τελειῶσαι; 2,10: τελειώτης: 12,2). Le due frasi parlano della passione di Gesù, le sue “sofferenze” in 2,10, la “sopportazione della croce” in 12,2. La differenza è nel complemento di ἀρχηγός; σωτηρία “salvezza”, in 2,10; πίστις “fede”, in 12,2. In Eb 2,10 ἀρχηγός può essere tradotto “pioniere” della salvezza, nel senso che Gesù è stato il primo ad essere salvato e ha così aperto a tutti la via della salvezza. Che ebbe bisogno di essere salvato lo si vede in Eb 5,7 dove l’autore ricorda che Cristo «nei giorni della sua carne offrì domande e suppliche a Colui che lo poteva salvare da morte, con forte grido e lacrime, e fu esaudito». Cristo dunque fu salvato. Non fu preservato dalla morte ma ne fu salvato attraverso la morte stessa (cf. διὰ τοῦ θανάτου: 2,14). Dallo stesso fatto «diventò causa (αἰτίος) di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (5,9). «Reso perfetto» (5,9) «mediante le sofferenze» della sua passione (2,10; cf. 5,8), «ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (10,14).
In modo analogo si potrebbe dire che Cristo «nei giorni della sua carne» è stato «il pioniere della fede», nel senso che egli ha creduto eroicamente in Dio, malgrado una situazione del tutto avversa, e proprio per questo, è diventato «causa della fede», perfettamente «degno di fede» per tutti noi.
È quanto dice anche il IV carme del servo isaiano, soprattutto quel cruciale v. 10:
Ma Jhwh ha voluto prostrarlo con quella sofferenza,
il Terribile ha reso la sua vita un sacrificio d’espiazione.
Il dolore e sofferenza abbracciano tutta l’esistenza del servo e tutto questo è «progetto di Dio». Ma in che senso? Qui è in gioco non solo la spiegazione filologica, ma la comprensione teologica. Il verbo ḥāpēṣ, posto all’inizio dell’affermazione e ripetuto in 10b come sostantivo (ḥēpeṣ) è molto forte. Indica il disegno concreto attuato da Dio (Is 42,21; 44,28; 46,10; 48,14) e il giudizio conclusivo da parte di Jhwh circa la vita del servo: Jhwh sta dalla parte del servo, nonostante le apparenze, perché Egli è in grado di redimere perfino la prostrazione della sofferenza. Non che Jhwh voglia la sofferenza del servo o che la sofferenza faccia parte del suo disegno. Jhwh è, al contrario, in grado di trasformare in suo progetto perfino quella sofferenza, e la sua potenza (= il suo braccio) la sa trasformare in sacrificio di espiazione. Illuminati dalla rivelazione neotestamentaria, possiamo affermare che Dio non «libera» il servo da questa sofferenza, ma, nonostante tutto, gli è vicino.
L’affermazione del II-Isaia va interpretata infatti in modo antifrastico: il braccio di Jhwh – la sua forza – si manifesta nonostante l’apparente fallimento del servo, come «morte della morte». Il profeta non afferma che Jhwh sia il diretto responsabile della sofferenza e della morte del servo; al contrario, l’affermazione è che il progetto divino (ḥpṣ), inaudito e sconcertante, può integrare in sé anche l’apparente sconfitta, rendendo la morte del servo un sacrificio di espiazione e facendo trionfare, malgrado tutto, la benedizione e la vita.
Anche il titolo di “Terribile”, in tale interpretazione, assume un valore antifrastico di forte incisività: colui che appariva come “Terribile” è, al contrario, colui che trasforma la morte del servo – ingiusta e senza motivo – in sacrificio di espiazione (ʾāšām), a vantaggio di tutti. Il negativo diventa una via possibile per la rivelazione del positivo. La potenza di Dio si manifesta nel sacrificio, che – assunto nella sua radicalità – «fa morire la morte» e quindi attribuisce un nuovo senso al divenire storico. Non è il sacrificio scelto per se stesso che diventa via per la vita. Ma è la potenza di Dio che sa trasformare persino una morte, apparentemente senza senso, in via per la vita. Simone Weil annotava: «Il falso Dio muta la sofferenza in violenza. Il vero Dio muta la violenza in sofferenza».[6]
L’obbedienza di Gesù sino alla fine presuppone la sua fede in un tale Dio, capace di trasformare persino la croce in risurrezione (cf la preghiera del Getsemani in Mc 14,36 e parr.). In questo senso, fede e obbedienza sono due modi per esprimere la totale dedizione di Gesù al Padre e l’incessante fiducia che la volontà del Padre rimanga vita e gloria, sebbene richieda di passare attraverso la passione e la croce. L’obbedienza è la grazia, senza condizione, all’opera di Dio.
Su questa relazione del Figlio di fronte al Padre, «nei giorni della sua carne», il passo più significativo è quello di Eb 5, dove la somiglianza di Gesù con noi nei rapporti con Dio è descritta in termini sorprendenti.
3) Ebrei 5:8 (5:7-10)
GNT ὃς ἐν ταῖς ἡμέραις τῆς σαρκὸς αὐτοῦ δεήσεις τε καὶ ἱκετηρίας πρὸς τὸν δυνάμενον σῴζειν αὐτὸν ἐκ θανάτου μετὰ κραυγῆς ἰσχυρᾶς καὶ δακρύων προσενέγκας καὶ εἰσακουσθεὶς ἀπὸ τῆς εὐλαβείας, 8 καίπερ ὢν υἱός, ἔμαθεν ἀφ᾽ ὧν ἔπαθεν τὴν ὑπακοήν, 9 καὶ τελειωθεὶς ἐγένετο πᾶσιν τοῖς ὑπακούουσιν αὐτῷ αἴτιος σωτηρίας αἰωνίου, 10 προσαγορευθεὶς ὑπὸ τοῦ θεοῦ ἀρχιερεὺς κατὰ τὴν τάξιν Μελχισέδεκ.
HNT אֲשֶׁר בִּימֵי מְגּוּרָיו בִּבְשָׂרוֹ הִקְרִיב תְּפִלּוֹת וְתַחֲנוּנִים בְּקוֹל שַׁוְעָתוֹ וְדִמְעָתוֹ לִפְנֵי שַׂגִּיא כֹחַ יְחַלְּצֶנּוּ מִמָּוֶת וַיֵּעָתֵר־לוֹ עֵקֶב יִרְאָתוֹ׃ 8 וְאַף בִּהְיוֹתוֹ בֵן לֻמַּד בְּסִבְלֹתָיו לִשְׁמֹעַ בְּקוֹל מְצַוֶּה׃ 9 וּבְהִמָּצְאוֹ שָׁלֵם הָיָה לְכָל־שֹׁמְעָיו לִמְקוֹר תְּשׁוּעַת עוֹלָמִים׃ 10 וּפִי אֱלֹהִים יִקֳּבֶנּוּ כֹּהֵן גָּדוֹל עַל־דִּבְרָתִי מַלְכִּי־צֶדֶק׃
Nuova CEI Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. 8 Pur essendo figlio, imparò tuttavia l’obbedienza da ciò che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10 poiché Dio lo aveva proclamato sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.
CEI Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; 8 pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10 essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek.
Gesù ha creduto e «ha imparato l’obbedienza» (Eb 5,18); «... in Gesù Cristo abbiamo il modello perfetto — perfetto in attuazione e in effetto — di questa fede che dobbiamo imitare, affidandoci a lui».
L’inno di Filippesi 2,6-10 dice:
ὃς ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων
οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εἶναι ἴσα θεῷ,
7 ἀλλὰ ἑαυτὸν ἐκένωσεν
μορφὴν δούλου λαβών,
ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων γενόμενος·
καὶ σχήματι εὑρεθεὶς ὡς ἄνθρωπος
8 ἐταπείνωσεν ἑαυτὸν
γενόμενος ὑπήκοος μέχρι θανάτου,
θανάτου δὲ σταυροῦ.
Ecco il mistero della sua kenosi. Per Gesù non si trattò soltanto, nella sua passione, di sopportare umiliazioni, maltrattamenti, sofferenza e morte, ma di trovarsi davanti un Dio che sembrava essere assente proprio nella situazione di estrema angoscia: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sono queste le “domande e suppliche, le forti grida e lacrime” rivolte da Gesù “a Colui che poteva salvarlo dalla morte” (5,7). In altri uomini, una tale situazione sarebbe vissuta anzitutto come una situazione nella quale la relazione di fede con Dio sarebbe stata messa a dura prova, e forse si sarebbe spezzata. Ma l’autore della Lettera agli Ebrei, che si mostra reticente nel parlare della fede di Gesù, non dice nulla, se non parlando di εὐλάβεια, “rispetto religioso” (5,7).
Tuttavia, con chiarezza mostra la tensione, nel vissuto di Gesù, tra il suo essere Figlio e la necessità in cui si è trovato nell’imparare l’obbedienza per mezzo delle sue sofferenze. Di per sé, tale apprendistato non si accordava con la sua posizione di Figlio, eppure «benché fosse Figlio, egli imparò dalle sue sofferenze l’obbedienza» (5,8). La dovette imparare “per rendersi simile in tutto ai fratelli” (2,17) e “diventare sommo sacerdote misericordioso e degno di fede” (2,17); così fu “reso perfetto” nella sua natura umana (5,9), “divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli ubbidiscono, proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (5,9)-10). In questo senso profondo, Gesù divenne anche colui che portò a compimento la fede: ὁ τῆς πίστεως … τελειωτής.
Per offrire qualche ragione in più così da poter affermare senza reticenze teologiche, ma con correttezza «la fede di Gesù», dobbiamo ritornare per un momento ai due testi precedenti:
1) in Eb 12,2, a specificare il titolo dato a Gesù, stava ὃς ἀντὶ τῆς προκειμένης αὐτῷ χαρᾶς ὑπέμεινεν [τὸν] σταυρὸν αἰσχύνης καταφρονήσας: la preposizione ἀντὶ non va intesa nel senso di scambio («in cambio di» o simili), ma di causa («a ragione di» equivalente a πρὸς; cf for the sake of, Pl. Mx.237a, Arist. EN 1110a 21; with verbs of entreaty, like πρός c. gen., ἀντὶ παίδων ἱκετεύομέν σε Soph. OC 1326[7]);
2) in Eb 2,10, a vedere ciò Dio può: ἔπρεπεν γὰρ αὐτῷ … τὸν ἀρχηγὸν τῆς σωτηρίας αὐτῶν διὰ παθημάτων τελειῶσαι la perfezione del “corifeo della loro salvezza” è raggiunta attraverso le sofferenze che ἔπρεπεν γὰρ αὐτῷ, ovvero a Dio. Ma attenzione: non che sia opportuno per Dio o che si addica a Dio la via della sofferenza. Il verbo πρέπω indica piuttosto la straordinaria possibilità di Dio di portare a perfezione attraverso le sofferenze colui che doveva essere il corifeo della salvezza di numerosi fratelli.
D. Bonhoeffer ha scritto che
«anche nell’AT colui che è benedetto deve soffrire molto (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), ma mai questo (altrettanto poco come lo è nel NT) porta a mettere vicendevolmente felicità e sofferenza, o benedizione e croce, in una contrapposizione escludente. La differenza tra l’AT e il NT sotto questo aspetto sta solo nel fatto che nell’AT la benedizione comprende in sé anche la croce, mentre nel NT la croce ha in se stessa anche la benedizione».[8]
Questa è la fede di Gesù: come osservava B.E. Westcott, «anche lui [Gesù] guardò attraverso ciò che è presente e visibile verso ciò che è futuro e non visto»[9]. La sua esperienza umana corrispose quindi alla definizione della fede data in Eb 11,1: «La fede è garanzia delle cose sperate, prova per le realtà che non si vedono». Lo stesso san Tommaso ammette che «in Cristo ci fu la fiducia, in quanto, egli, secondo la natura umana, aspettava dal Padre un aiuto durante la passione»[10]. Le “domande e suppliche” di cui parla Eb 5,7 attestano potentemente la presenza, nell’animo di Gesù, della fiducia in Dio, la quale è un aspetto della fede.
Certo, Gesù durante la sua vita terrena non fu solo un semplice credente, in quanto nei confronti della fede egli ha esercitato una funzione unica, che si è estesa dal principio (ἀρχή) alla fine (τέλος). In ciò sta la sua singolarità. D’altra parte, si può dire che il NT non solo presenta Gesù come un modello di fede, ma la fede di Gesù diventa il punto di riferimento per capire chi è veramente Dio e come mettersi in giusta relazione con lui.
Per troppo tempo, la comprensione della spiritualità di Gesù è stata impedita da pregiudizi teologici. Può sembrare sorprendente il fatto che per molti secoli la riflessione su Cristo e la pietà cristiana si siano allontanate l’una dall’altra per limiti così incidenti. La stessa interpretazione della morte di Gesù e della sua fedeltà all’amore «sino alla fine» è stata falsata dal presupposto che egli già conoscesse il suo destino. Questo non ha certo impedito lo sviluppo di forme autentiche di spiritualità cristiana. Occorre infatti ricordare che la potenza della grazia vince anche modelli inadeguati, riuscendo ad esprimere la luce e la grazia sufficienti a far crescere figli di Dio. Ciò che importa non sono i modelli attraverso i quali si interpretano le esperienze, bensì le offerte vitali accolte e le dinamiche messe in moto. È però innegabile che i modelli possono impedire alcuni sviluppi e in certe situazioni divenire ostacoli gravi.
La pietà cristiana oggi può e deve subire una svolta notevole: «tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 3,1; 12,2), la comunità ecclesiale può imparare a percorrere il cammino di fede di Gesù e ad assimilare i suoi criteri di scelta. Una fase nuova può aprirsi nella storia della teologia, della pietà e della spiritualità cristiana. Percorrendo il cammino di fede che Egli ha percorso non solo siamo in grado di «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (cf Fil 2,5), di «avere cioè il suo pensiero» (cf 1 Cor 2,16), ma anche di sviluppare e far fiorire nel nostro tempo le potenzialità ancora inespresse del suo Vangelo. Oggi siamo in grado di fare un notevole passo avanti verso la scoperta dell’autentica spiritualità di Gesù, di penetrare più nel profondo il segreto della sua preghiera, di cogliere in modo più profondo la portata della sua fedeltà al Regno di Dio e di capire meglio l’annuncio del suo Vangelo. A questa possibilità corrisponde il compito di testimoniare l’esito salvifico della via tracciata da Gesù, l’efficacia del suo Vangelo, di mostrare, cioè, a quale ricchezza può condurre lo Spirito che il risorto continua a effondere su coloro che, anche oggi, vivono la sua Parola. Non possiamo tradire la responsabilità che grava sulla nostra generazione di credenti. È in gioco la sopravvivenza dell’umanità (C. Molari).
Detto?
pareva,
non lo era
e se mai minimamente
l’obbrobrioso evento
e lui lo configgeva
ora nel firmamento
in una croce
d’astri e sangue
lui con il proprio
luminoso scempio –
il cappio dell’impiccagione
allentò, parve, la stretta,
in quella
lo avvampò per un istante
l’esultazione da martirio –
o me
hominem, me martyrem…
Ma ecco si spegneva,
perdeva i lineamenti
il volto avuto in sorte
e perfino il suo ricordo,
bruciava, era lucente,
falena strana,
lo abbagliava
la sua dissoluzione
in niente,
sì ma un quid sopravviveva
in quella nera
lacuna di sostanza
un tempo stata umana.
Era, ora, dalla notte
sottostante
un’erta cima,
un crocevia
di pensieri sofferenti.
Venivano
ad essi da ogni parte, in ansia
di pietà e di liberazione
da ogni colpa, da ogni pena
al termine
o alla sorgente della remissione.[11]
Eventualmente, da citare alla fine:
Porcellum, che passione
di Massimo Gramellini
È la settimana di Pasqua, teologi e ricercatori continuano a chiedersi se la Resurrezione vada considerata un evento letterale o metaforico, la Bbc manda in onda una fiction che espone nuove teorie storiche su come fu crocefisso Gesù, le librerie pullulano di titoli legati alla spiritualità, rivelando la fame del pubblico per questo genere di questioni. Ebbene, di cosa si occupa la Conferenza dei vescovi italiani? Della legge elettorale.
Lo scrivo col massimo rispetto, ma è come se il consiglio della Federcalcio si riunisse per discutere il prezzo del pane e quello della Confcommercio la riforma della serie A. Si dirà: i vescovi hanno diritto di esprimersi sui temi civili e politici. Verissimo, però anche sui temi religiosi. Non dico sempre, ma almeno nei ritagli di tempo fra una crociata contro i matrimoni gay e un dibattito intorno alla fecondazione artificiale. Garantisco alle Eminenze che ci sono persone più interessate alla critica neotestamentaria che alla riforma della legge sull’aborto, che per molti di noi i segreti del sistema solare restano più intriganti di quelli del sistema proporzionale e che le domande eterne sul senso della vita, del dolore e della morte coinvolgono un uditorio più vasto di quello che freme per sapere quanti partiti supereranno il quorum dell’otto per cento al Senato. Se però monsignor Betori continua a commentarmi il Porcellum, del Vangelo chi me ne parla, Calderoli?
! Altre traduzioni dei testi
Ebrei 12,2
PEH ונחור בישׁוע דהו הוא רישׁא וגמורא להימנותן דחלף חדותא דאית הוא לה סיבר צליבא ועל בהתתא אמסר ועל ימינא דכורסיה דאלהא יתב׃
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IEP Avendo lo sguardo fisso su Gesù, autore e consumatore della fede, il quale, in luogo della gioia che gli si proponeva davanti, si sottopose alla croce, sprezzando l’ignominia, e ora siede alla destra del trono di Dio.
ILC Teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ci ha aperto la strada della fede e ci condurrà sino alla fine. Egli ha accettato di morire in croce e non ha tenuto conto che era una morte vergognosa, perché pensava alla gioia riservata per lui in cambio di quella sofferenza. Ora egli si trova accanto al trono di Dio.
LND Tenendo gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede, il quale, per la gioia che gli era posta davanti, soffrì la croce disprezzando il vituperio e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio.
NRV Fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio.
VUL=VUO Aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Iesum qui pro proposito sibi gaudio sustinuit crucem confusione contempta atque in dextera sedis Dei sedit.
NAS Fixing our eyes on Jesus, the author and perfecter of faith, who for the joy set before Him endured the cross, despising the shame, and has sat down at the right hand of the throne of God.
KJV Looking unto Jesus the author and finisher of our faith; who for the joy that was set before him endured the cross, despising the shame, and is set down at the right hand of the throne of God.
EIN Und dabei auf Jesus blicken, den Urheber und Vollender des Glaubens; er hat angesichts der vor ihm liegenden Freude das Kreuz auf sich genommen, ohne auf die Schande zu achten, und sich zur Rechten von Gottes Thron gesetzt.
TOB Les regards fixés sur celui qui est l’initiateur de la foi et qui la mène à son accomplissement, Jésus, lui qui, renonçant à la joie qui lui revenait, endura la croix au mépris de la honte et s’est assis à la droite du trône de Dieu.
BAY Les yeux rivés sur celui qui est source de la foi et celui qui la mène à sa perfection, Jésus qui, au lieu de la joie qui lui était offerte et sans tenir compte d’une telle infamie, accepta la mort sur une croix et s’est assis à la droite du trône de Dieu.
NVI Fijemos la mirada en Jesús, el iniciador y perfeccionador de nuestra fe, quien por el gozo que le esperaba, soportó la cruz, menospreciando la vergüenza que ella significaba, y ahora está sentado a la derecha del trono de Dios.
!! Ebrei 2,9-10
PEHהו דין דמך קליל מן מלאכא חזינן דהויו ישׁוע מטל חשׁא דמותה ותשׁבוחתא ואיקרא סים ברישׁה הו גיר בטיבותה אלהא חלף כלנשׁ טעם מותא׃ 10 יאא הוא גיר להו דכל באידה וכל מטלתה ובניא סגיאא אעל לתשׁבוחתא דלרישׁא דחייהון בחשׁה נגמריוהי׃
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CEI Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. 10 Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
IEP Contempliamo invece Gesù, per poco abbassato al di sotto degli angeli, coronato di gloria e onore attraverso la passione della morte, affinché per la bontà di Dio gustasse la morte per ogni uomo. 10 Infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, che conduce alla gloria dei numerosi figli, conveniva perfezionare, per mezzo della passione, il capo della loro salvezza.
ILC Ma guardiamo a Gesù: egli per poco tempo fu fatto inferiore agli angeli; ora invece lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto. Così, per grazia di Dio, la sua morte è stata un vantaggio per tutti. 10 Dio che crea e conserva in vita tutte le cose voleva portare molti figli a partecipare della sua gloria. Quindi era giusto che egli rendesse perfetto mediante la sofferenza Gesù, il capo che li guida verso la salvezza.
LND Ma vediamo coronato di gloria e d’onore per la morte che sofferse, Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti. 10 Conveniva infatti a colui, per il quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, nel portare molti figli alla gloria, di rendere perfetto per mezzo di sofferenze l’autore della salvezza.
NRV Però vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti. 10 Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l’autore della loro salvezza.
VUL-VUO eum autem qui modico quam angeli minoratus est videmus Iesum propter passionem mortis gloria et honore coronatum ut gratia Dei pro omnibus gustaret mortem 10 decebat enim eum propter quem omnia et per quem omnia qui multos filios in gloriam adduxerat auctorem salutis eorum per passiones consummare
NAS But we do see Him who has been made for a little while lower than the angels, namely, Jesus, because of the suffering of death crowned with glory and honor, that by the grace of God He might taste death for everyone. 10 For it was fitting for Him, for whom are all things, and through whom are all things, in bringing many sons to glory, to perfect the author of their salvation through sufferings.
KJV But we see Jesus, who was made a little lower than the angels for the suffering of death, crowned with glory and honour; that he by the grace of God should taste death for every man. 10 For it became him, for whom are all things, and by whom are all things, in bringing many sons unto glory, to make the captain of their salvation perfect through sufferings.
EIN Aber den, der nur für kurze Zeit unter die Engel erniedrigt war, Jesus, ihn sehen wir um seines Todesleidens willen mit Herrlichkeit und Ehre gekrönt; es war nämlich Gottes gnädiger Wille, dass er für alle den Tod erlitt. 10 Denn es war angemessen, dass Gott, für den und durch den das All ist und der viele Söhne zur Herrlichkeit führen wollte, den Urheber ihres Heils durch Leiden vollendete.
TOB Mais nous faisons une constatation: celui qui a été abaissé quelque peu par rapport aux anges, Jésus, se trouve, à cause de la mort qu’il a soufferte, couronné de gloire et d’honneur. Ainsi, par la grâce de Dieu, c’est pour tout homme qu’il a goûté la mort. 10 Il convenait, en effet, à celui pour qui et par qui tout existe et qui voulait conduire à la gloire une multitude de fils, de mener à l’accomplissement par des souffrances l’initiateur de leur salut.
BAY Mais celui qui «a été un moment rabaissé par rapport aux anges», Jésus, nous le voyons «couronné de gloire et d’honneur», parce qu’il a connu les tourments de la mort. Par la grâce de Dieu et au bénéfice de l’humanité tout entière, il fallait qu’il passât par cette mort. 10 Il convenait en effet que celui pur qui et par qui tout existe et qui voulait conduire à la gloire un grand nombre de fils rendît parfait par la souffrance l’initiateur de leur salut.
NVI Sin embargo, vemos a Jesús, que fue hecho un poco inferior a los ángeles, coronado de gloria y honra por haber padecido la muerte. Así, por la gracia de Dios, la muerte que él sufrió resulta en beneficio de todos. 10 En efecto, a fin de llevar a muchos hijos a la gloria, convenía que Dios, para quien y por medio de quien todo existe, perfeccionara mediante el sufrimiento al autor de la salvación de ellos.
!! Ebrei 5,7-10
PEHאף כד בסרא לבישׁ הוא בעותא ותכשׁפתא בגעתא חילתניתא ובדמעא קרב הוא למן דמשׁך הוא מן מותא דנחיוהי ואשׁתמע׃ 8 וכד טב ברא איתוהי מן דחלתא וחשׁא דסבל ילפה למשׁתמענותא׃ 9 והכנא אתגמר והוא לכלהון אילין דמשׁתמעין לה עלתא דחיא דלעלם׃ 10 ואשׁתמה מן אלהא רב כומרא בדמותה דמלכיזדק׃
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IEP Il quale, nei giorni della sua carne, implorò e supplicò con grida veementi e lacrime colui che poteva salvarlo da morte, e fu esaudito per la sua riverenza. 8 E imparò da ciò che soffrì l’obbedienza, pur essendo Figlio. 9 E perfezionato, diventò per tutti quelli che gli prestano obbedienza autore di eterna salvezza, 10 proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek.
ILC Durante la sua vita terrena, Gesù si rivolse a Dio che poteva salvarlo dalla morte, offrendo preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime. E poiché Gesù era sempre stato fedele a lui, Dio lo ascoltò. 8 Benché fosse il Figlio di Dio, tuttavia imparò l’ubbidienza da quel che dovette patire. 9 Dopo essere stato reso perfetto, egli è diventato causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli ubbidiscono. 10 Infatti Dio lo ha proclamato sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.
LND Nei giorni della sua carne, con grandi grida e lacrime, egli offrì preghiere e supplicazioni a colui che lo poteva salvare dalla morte, e fu esaudito a motivo del suo timore di Dio. 8 Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì, 9 e, reso perfetto, divenne autore di salvezza eterna per tutti coloro che gli ubbidiscono, 10 essendo da Dio proclamato sommo sacerdote, secondo l’ordine di Melchisedek…
NRV Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. 8 Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; 9 e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, 10 essendo da Dio proclamato sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec.
VUL=VUO qui in diebus carnis suae preces supplicationesque ad eum qui possit salvum illum a morte facere cum clamore valido et lacrimis offerens et exauditus pro sua reverentia 8 et quidem cum esset Filius didicit ex his quae passus est oboedientiam 9 et consummatus factus est omnibus obtemperantibus sibi causa salutis aeternae 10 appellatus a Deo pontifex iuxta ordinem Melchisedech
NAS In the days of His flesh, He offered up both prayers and supplications with loud crying and tears to the One able to save Him from death, and He was heard because of His piety. 8 Although He was a Son, He learned obedience from the things which He suffered. 9 And having been made perfect, He became to all those who obey Him the source of eternal salvation, 10 being designated by God as a high priest according to the order of Melchizedek.
KJV Who in the days of his flesh, when he had offered up prayers and supplications with strong crying and tears unto him that was able to save him from death, and was heard in that he feared; 8 Though he were a Son, yet learned he obedience by the things which he suffered; 9 And being made perfect, he became the author of eternal salvation unto all them that obey him; 10 Called of God an high priest after the order of Melchisedec.
EIN Als er auf Erden lebte, hat er mit lautem Schreien und unter Tränen Gebete und Bitten vor den gebracht, der ihn aus dem Tod retten konnte, und er ist erhört und aus seiner Angst befreit worden. 8 Obwohl er der Sohn war, hat er durch Leiden den Gehorsam gelernt; 9 zur Vollendung gelangt, ist er für alle, die ihm gehorchen, der Urheber des ewigen Heils geworden 10 und wurde von Gott angeredet als «Hoherpriester nach der Ordnung Melchisedeks».
TOB C’est lui qui, au cours de sa vie terrestre, offrit prières et supplications avec grand cri et larmes à celui qui pouvait le sauver de la mort, et il fut exaucé en raison de sa soumission. 8 Tout Fils qu’il était, il apprit par ses souffrances l’obéissance, 9 et, conduit jusqu’à son propre accomplissement, il devint pour tous ceux qui lui obéissent cause de salut éternel, 10 ayant été proclamé par Dieu grand prêtre à la manière de Melkisédeq.
BAY C’est lui qui, aux jours de sa fragilité humaine, a offert, hurlant et pleurant, prières et supplications à celui qui pouvait le sauver de la mort. 8 Exaucé en raison de sa piété, et tout Fils qu’il était, il a néanmoins, par la souffrance, appris à écouter. Et ainsi mené à la perfection devient-il, pour tous ceux qui l’écoutent à leur tour, source de salut éternel, Dieu lui ayant conféré le titre de grand prêtre à la manière de Melchisédech.
NVI En los días de su vida mortal, Jesús ofreció oraciones y súplicas con fuerte clamor y lágrimas al que podía salvarlo de la muerte, y fue escuchado por su reverente sumisión. 8 Aunque era Hijo, mediante el sufrimiento aprendió a obedecer; 9 y consumada su perfección, llegó a ser autor de salvación eterna para todos los que le obedecen, 10 y Dios lo nombró sumo sacerdote según el orden de Melquisedec.
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[1] “Utrum in Christo fuerit fides”, Summa Theologiae, III, qu. 7, art. 3.
[2] P13. 46 D*.c
[3] P46
[4] M. Luzi, L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. Verdino (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, 42001: 740.
[5] S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, Edizione riveduta e ampliata, a cura e con introduzione di G. Finzi, Prefazione di C. Bo (I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1971, 142005: 156.
[6] S. Weil, L’ombra e la grazia, Introduzione di G. Hourdin, Traduzione di F. Fortini (Testi di Spiritualità), Rusconi Editore, Milano 1985, 83.
[7] H.G. Liddell et al., A Greek-English Lexicon (With a revised supplement, 1996), Rev. and augm. throughout, Clarendon Press – Oxford University Press, Oxford – New York 1996, 153.
[8] DBW, XIV, 974.
[9] B.E Westcott, The Epistle to the Hebrews, p. 397.
[10] S. Thomae Aquinatis, Super epistolas S. Pauli lectura, II, p. 366, n. 134.
[11] M. Luzi, Sotto specie umana (Poesia), Garzanti Libri, Milano 1999, 154-155.