‘Aqēdâ e il Crocifisso Risorto (Lectio su Gn 22)

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Lectio su Gn 22
La ‘Aqēdâ e il Crocifisso Risorto

- S. A. Kierkegaard, Timore e tremore; Lirica dialettica di Johannes de Silentio, Traduzione di F. Fortini, Postfazione di J. Wahl (= L'Altra Biblioteca, 56), SE, Milano 1990, pp. 20s.

- Origene, p. 173 (Genesi 12 - 50, a cura di M. Sheridan, Con la collaborazione di M. Conti, Introduzione generale di A. Di Berardino, Traduzione di M. Conti (= BCP. AT, 1/2), Città Nuova Editrice, Roma 2004)

“Il terzo giorno”: secondo le Scritture

Midraš Rabba LVI, 1 (Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ), Introduzione, versione, note di A. Ravenna, a cura di T. Federici (= CR. Eb), UTET, Torino 1978):

Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi… (Gn 22:4). Sta scritto: Dopo due giorni ci farà rivivere, il terzo giorno ci farà risorgere e vivremo davanti a Lui (Os 6:2). Il terzo giorno dei figli di Giacobbe, come sta scritto: E parlò a loro Giuseppe il terzo giorno (Gn 42:18); il terzo giorno della promulgazione del Decalogo, come è detto: Al terzo giorno (Es 19:16); e il terzo giorno delle spie, come è detto: Starete nascosti per tre giorni (Gs 2:15); il terzo giorno di Giona, come sta scritto: Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti (Giona 2:1); il terzo giorno dei rimpatriati della diaspora, come è detto: E ci accampammo là per tre giorni (Esd 8:15); il terzo giorno della risurrezione dei morti, come è detto: Dopo due giorni ci farà rivivere, il terzo giorno ci farà risorgere; il terzo giorno di Ester: Il terzo giorno Ester si rivestì degli abiti regali (Est 5:1), rivestì quelli della casa di suo padre. Per quale motivo? I nostri maestri e R. Levi. I nostri maestri hanno detto: Per il merito del terzo giorno in cui è avvenuta la promulgazione del Decalogo, poiché è detto: E fu al mattino del terzo giorno (Es 19:16). R. Levi disse: Per il merito del terzo giorno di Abramo nostro padre, come è detto: Il terzo giorno Abramo alzò i suoi occhi… (Gn 22:4).

Abramo: una figura per comprendere il “Padre di  NSGC”

Cesario di Arles, Sermoni, 84,2 (p. 173)

Origene, Omelie sulla Genesi, 8,4 (p. 174)

-          Rm 8:31-39: «31 Che diremo dunque a questo riguardo? Se Dio è per noi, chi ci è contro? 32 Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà con lui il tutto? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che condona. 34 Chi è colui che condanna? Cristo Gesù è colui che è morto, anzi, che è risuscitato, colui che sta alla destra di Dio e che intercede per noi. 35 Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36 Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. 37 Ma in tutte queste cose noi super-vinciamo per mezzo di colui che ci ha amato. 38 Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, 39 né potenze, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore». 31 Τί οὖν ἐροῦμεν πρὸς ταῦτα; εἰ θεὸς ὑπὲρ ἡμῶν, τίς καθἡμῶν; 32 ὅς γε τοῦ ἰδίου υἱοῦ οὐκ ἐφείσατο ἀλλὰ ὑπὲρ ἡμῶν πάντων παρέδωκεν αὐτόν, πῶς οὐχὶ καὶ σὺν αὐτῷ τὰ πάντα ἡμῖν χαρίσεται; 33 τίς ἐγκαλέσει κατὰ ἐκλεκτῶν θεοῦ; θεὸς δικαιῶν· 34 τίς κατακρινῶν; Χριστὸς [Ἰησοῦς] ἀποθανών, μᾶλλον δὲ ἐγερθείς, ὃς καί ἐστιν ἐν δεξιᾷ τοῦ θεοῦ, ὃς καὶ ἐντυγχάνει ὑπὲρ ἡμῶν. 35 τίς ἡμᾶς χωρίσει ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ Χριστοῦ; θλῖψις στενοχωρία διωγμὸς λιμὸς γυμνότης κίνδυνος μάχαιρα; 36 καθὼς γέγραπται ὅτι ἕνεκεν σοῦ θανατούμεθα ὅλην τὴν ἡμέραν, ἐλογίσθημεν ὡς πρόβατα σφαγῆς. 37 ἀλλʼ ἐν τούτοις πᾶσιν ὑπερνικῶμεν διὰ τοῦ ἀγαπήσαντος ἡμᾶς. 38 πέπεισμαι γὰρ ὅτι οὔτε θάνατος οὔτε ζωὴ οὔτε ἄγγελοι οὔτε ἀρχαὶ οὔτε ἐνεστῶτα οὔτε μέλλοντα οὔτε δυνάμεις 39 οὔτε ὕψωμα οὔτε βάθος οὔτε τις κτίσις ἑτέρα δυνήσεται ἡμᾶς χωρίσαι ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ θεοῦ τῆς ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ τῷ κυρίῳ ἡμῶν.

-          Gv 3:16-21: «16 Dio infatti ha amato il mondo così tanto, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non si perda, ma abbia la vita piena. 17 Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». 16 οὕτως γὰρ ἠγάπησεν θεὸς τὸν κόσμον, ὥστε τὸν υἱὸν τὸν μονογενῆ ἔδωκεν, ἵνα πᾶς πιστεύων εἰς αὐτὸν μὴ ἀπόληται ἀλλʼ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον. 17 οὐ γὰρ ἀπέστειλεν θεὸς τὸν υἱὸν εἰς τὸν κόσμον ἵνα κρίνῃ τὸν κόσμον, ἀλλʼ ἵνα σωθῇ κόσμος διʼ αὐτοῦ. 18 πιστεύων εἰς αὐτὸν οὐ κρίνεται· δὲ μὴ πιστεύων ἤδη κέκριται, ὅτι μὴ πεπίστευκεν εἰς τὸ ὄνομα τοῦ μονογενοῦς υἱοῦ τοῦ θεοῦ. 19 αὕτη δέ ἐστιν κρίσις ὅτι τὸ φῶς ἐλήλυθεν εἰς τὸν κόσμον καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος τὸ φῶς· ἦν γὰρ αὐτῶν πονηρὰ τὰ ἔργα. 20 πᾶς γὰρ φαῦλα πράσσων μισεῖ τὸ φῶς καὶ οὐκ ἔρχεται πρὸς τὸ φῶς, ἵνα μὴ ἐλεγχθῇ τὰ ἔργα αὐτοῦ· 21 δὲ ποιῶν τὴν ἀλήθειαν ἔρχεται πρὸς τὸ φῶς, ἵνα φανερωθῇ αὐτοῦ τὰ ἔργα ὅτι ἐν θεῷ ἐστιν εἰργασμένα.

-          1Gv 4:9-10: «9 Con questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi vivessimo per mezzo di lui. 10 In questo è l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come “propiziatorio” per i nostri peccati». 9 ἐν τούτῳ ἐφανερώθη ἀγάπη τοῦ θεοῦ ἐν ἡμῖν, ὅτι τὸν υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ ἀπέσταλκεν θεὸς εἰς τὸν κόσμον ἵνα ζήσωμεν διʼ αὐτοῦ. 10 ἐν τούτῳ ἐστὶν ἀγάπη, οὐχ ὅτι ἡμεῖς ἠγαπήκαμεν τὸν θεὸν ἀλλʼ ὅτι αὐτὸς ἠγάπησεν ἡμᾶς καὶ ἀπέστειλεν τὸν υἱὸν αὐτοῦ ἱλασμὸν περὶ τῶν ἁμαρτιῶν ἡμῶν.

-          Battesimo: Mc 1:11 (e Lc 3:22): σὺ εἶ υἱός μου ἀγαπητός, ἐν σοὶ εὐδόκησα. Mt 3:17: οὗτός ἐστιν υἱός μου ἀγαπητός, ἐν εὐδόκησα.

-          Trasfigurazione: Mc 9:7: οὗτός ἐστιν υἱός μου ἀγαπητός, ἀκούετε αὐτοῦ. Mt 17:5: οὗτός ἐστιν υἱός μου ἀγαπητός, ἐν εὐδόκησα· ἀκούετε αὐτοῦ. Lc 9:35: οὗτός ἐστιν υἱός μου ἐκλελεγμένος, αὐτοῦ ἀκούετε.

La fede di Abramo: una figura per comprendere “la fede di Gesù”

Origene, Omelie sulla Genesi, 8,5 (p. 175)

-          Eb 5:7-10: «7 Egli, avendo offerto nei giorni della sua carne preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo da morte con forti grida e lacrime e essendo stato esaudito per la sua pietà, 8 pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì 9 e, reso perfetto, divenne per tutti coloro che gli obbediscono causa di salvezza eterna, 10 dal momento che è stato salutato da Dio sommo sacerdote secondo lo statuto di Melkisedek». 7 ὃς ἐν ταῖς ἡμέραις τῆς σαρκὸς αὐτοῦ δεήσεις τε καὶ ἱκετηρίας πρὸς τὸν δυνάμενον σῴζειν αὐτὸν ἐκ θανάτου μετὰ κραυγῆς ἰσχυρᾶς καὶ δακρύων προσενέγκας καὶ εἰσακουσθεὶς ἀπὸ τῆς εὐλαβείας, 8 καίπερ ὢν υἱός, ἔμαθεν ἀφʼ ὧν ἔπαθεν τὴν ὑπακοήν, 9 καὶ τελειωθεὶς ἐγένετο πᾶσιν τοῖς ὑπακούουσιν αὐτῷ αἴτιος σωτηρίας αἰωνίου, 10 προσαγορευθεὶς ὑπὸ τοῦ θεοῦ ἀρχιερεὺς κατὰ τὴν τάξιν Μελχισέδεκ.

-          Rom 3:21-31: «21 Ora invece, indipendentemente da una legge, è stata resa visibile la giustizia di Dio, testimoniata dalla Torah e dai Profeti, 22 la giustizia di Dio per mezzo della fede di Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Non c’è infatti distinzione: 23 tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24 ma giustificati gratuitamente con la sua grazia, per mezzo della redenzione in Cristo Gesù. 25 Dio lo ha reso “propiziatorio” per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza dei peccati passati, 26 quando Dio aveva pazienza, per la manifestazione della sua giustizia nel tempo presente, volendo essere giusto e giustificare colui che è dalla fede di Gesù. 27 Dov’è dunque il vanto? Escluso! Da quale legge? Delle opere? No, ma dalla legge della fede. 28 Noi riteniamo infatti che l’uomo è reso giusto per fede a prescindere dalle opere della Torah. 29 O Iddio è soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certamente, anche delle genti, 30 in quanto non vi è che un solo Dio, il quale giustificherà la circoncisione dalla fede e l’incirconcisione per mezzo della fede. 31 Sviliamo dunque la Torah mediante la fede? Mai più, anzi noi diamo forza alla Torah!». 21 Νυνὶ δὲ χωρὶς νόμου δικαιοσύνη θεοῦ πεφανέρωται μαρτυρουμένη ὑπὸ τοῦ νόμου καὶ τῶν προφητῶν, 22 δικαιοσύνη δὲ θεοῦ διὰ πίστεως Ἰησοῦ Χριστοῦ εἰς πάντας τοὺς πιστεύοντας. οὐ γάρ ἐστιν διαστολή, 23 πάντες γὰρ ἥμαρτον καὶ ὑστεροῦνται τῆς δόξης τοῦ θεοῦ 24 δικαιούμενοι δωρεὰν τῇ αὐτοῦ χάριτι διὰ τῆς ἀπολυτρώσεως τῆς ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ· 25 ὃν προέθετο θεὸς ἱλαστήριον διὰ [τῆς] πίστεως ἐν τῷ αὐτοῦ αἵματι εἰς ἔνδειξιν τῆς δικαιοσύνης αὐτοῦ διὰ τὴν πάρεσιν τῶν προγεγονότων ἁμαρτημάτων 26 ἐν τῇ ἀνοχῇ τοῦ θεοῦ, πρὸς τὴν ἔνδειξιν τῆς δικαιοσύνης αὐτοῦ ἐν τῷ νῦν καιρῷ, εἰς τὸ εἶναι αὐτὸν δίκαιον καὶ δικαιοῦντα τὸν ἐκ πίστεως Ἰησοῦ. 27 Ποῦ οὖν καύχησις; ἐξεκλείσθη. διὰ ποίου νόμου; τῶν ἔργων; οὐχί, ἀλλὰ διὰ νόμου πίστεως. 28 λογιζόμεθα γὰρ δικαιοῦσθαι πίστει ἄνθρωπον χωρὶς ἔργων νόμου. 29 Ἰουδαίων θεὸς μόνον; οὐχὶ καὶ ἐθνῶν; ναὶ καὶ ἐθνῶν, 30 εἴπερ εἷς θεὸς ὃς δικαιώσει περιτομὴν ἐκ πίστεως καὶ ἀκροβυστίαν διὰ τῆς πίστεως. 31 νόμον οὖν καταργοῦμεν διὰ τῆς πίστεως; μὴ γένοιτο· ἀλλὰ νόμον ἱστάνομεν.

Per comprendere le connessioni del “propiziatorio” con la ‘ăqēdâ di Isacco, bisogna ricordare come il midrāš presenta il montone del sacrificio.

«Abramo sacrificò l’animale al Signore, spruzzò il sangue sulla mensa, mentre pronunziò:

- Jhwh, la vittima che Ti presento, Ti vagla come se fosse il mio unico figlio Isacco.

Dio accettò il sacrificio del capro come se fosse stato Isacco a salire sull’altare. Allora Dio disse:

- Quando, nel tempo a venire, i tuoi figli peccheranno al Mio cospetto, Io li giudicherò nel giorno di Roš ha-šanâi (Capodanno). Se vorranno il Mio perdono, nello Jôm Kippûr suoneranno il corno del montone (lo šôpār) e Io, in memoria dell’animale che ha sostituito Isacco nel sacrificio, perdonerò i loro peccati.

Isacco: la disponibilità del figlio al progetto del padre

Clemente Alessandrino, Il Pedagogo, 1,5,23 (p. 176)

Il tema del risus paschalis.

Bisogna anzitutto riferirsi al midrāš.

«Arrivato al luogo, Abramo costruì l’altare, vi pose sopra la legna e vi legò Isacco. Si guardavano tutti e due negli occhi, e le lacrime di Abramo si unirono alle lacrime di Isacco. Gli disse allora il figlio:

- Legami, legami forte, padre mio! Non sia che per paura io resista e non sia valido il tuo sacrificio, e tutti e due siamo rifiutati. Tieni stretto il tuo coltello, padre, che io sono un giovane di trentasette anni e tu sei vecchio, non vorrei essere colto dal panico e ferirmi, così da non essere più idoneo per il sacrificio.

Vedendo quella scena, anche gli angeli del cielo piangevano, e le loro lacrime andarono a smussare la lama del coltello di Abramo. Abramo stava per affondare il coltello nella gola di Isacco, quando l’angelo Michele apparve ad Abramo e disse:

- Ferma la tua mano, Abramo, e il coltello non sgozzi tuo figlio Isacco.

Poi Abramo udì un’altra voce che diceva:

- Io giuro per me stesso, oracolo del Signore, poiché tu hai fatto questo, e non hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico figlio, Io ti colmerò di benedizioni, moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la rena che è sulla spiaggia del mare e la tua discendenza possederà la porta dei suoi nemici e nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra, in premio dell’aver obbedito alla Mia voce.

Finalmente Abramo slegò Isacco, reso alla vita dalla voce celeste che aveva fermato il gesto di Abramo. Slegato che fu, il giovane si alzò in piedi e recitò questa benedizione:

- Benedetto sei tu, Jhwh, nostro Dio, che fai risuscitare i morti ».

I due servi: il popolo giudaico

Cesario di Arles, Sermoni, 84,3 (p. 175)

Come conclusione

Kierkegaard, Timore e tremore, p. 135: «Ma colui che è giunto fino alla fede…»

Il Venerdì Santo è la prova di quanto Dio ci ama

La croce toglie ogni dubbio

di Ermes Ronchi

Sono i giorni del nostro destino, quando la terra intera risuona di un grido: grido di nostalgia. È la profonda malinconia del paradiso perduto, del Dio perduto, dell’amore e della pace perduti. La terra, con le sue spine e i suoi roveti, con le sue primule e i sempreverdi, con le sue stelle e, ogni tanto, la sua tenerezza; ma solo ogni tanto e furtivamente. E la sua crudeltà spesso, troppo spesso; e le sue lacrime, e i suoi singhiozzi. La terra è un immenso pianto. E un giorno Dio non ha più sopportato, Dio non ha più potuto trattenersi. E allora ha raggiunto Adamo, ha cercato il sangue di Abele, e si è messo a gridare insieme ai suoi figli lo stesso grido di nostalgia, radicato nell’angoscia, radicato nel sangue e nell’amore: si è incarnato ed è salito sulla croce.

Solo per essere con me e come me. Solo perché io possa essere con Lui e come Lui.

Essere in croce è ciò che Dio deve, nel suo amore, all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri. Ma il primo di questi doveri è di essere unito con l’amato. Solo un Dio sale sul legno ed entra nella morte perché là va ogni suo amato. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualunque uomo, se potesse, qualunque potente, se ne avesse la forza, scenderebbe dalla sua croce. Solo un Dio non scende dal legno. È la genesi di Dio fra gli uomini. Il nostro è un Dio differente.

Questi sono i giorni della “vendetta” di Dio. Sublime vendetta, quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta la separazione, di tutta l’indifferenza degli uomini inventando la croce che innalza la terra, che avvicina il cielo, che riconcilia i quattro punti cardinali, crocevia che raccoglie tutte le nostre strade disperse, nodo a tutte le traversali del mondo. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante.

Ciò che ci fa credere è la croce (Pascal). Ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce. Vittoria riportata sulla morte e chiamata Risurrezione. Ma in effetti ciò che ci fa credere è la croce. Il cristianesimo è nato dalla riflessione non sulla vita, ma sulla morte di Gesù. Il Golgota è il punto in cui si concentra e da cui emana tutto ciò che può riguardare la fede dei cristiani.

Oggi sarai con me in Paradiso. Gesù parla di uno spazio felice e immenso, lui che ha come spazio appena quel poco di legno e di terra che basta per morire. Parla del giardino senza notte di Adamo, di un sogno non contaminato ancora, dove tutte le creature saranno in armonia. E mentre la nostra storia sembra avanzare per esclusioni e separazioni, la croce è la storia “altra” che non esclude nessuno, che avanza per riconciliazioni, alleanza con tutto ciò che vive sotto il grande arco del sole, e oltre. Le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio che non può più rinnegarsi, che nessuno mai, che nessuna cosa mai annullerà, sono come le porte dell’Eden spalancate per sempre. L’angelo che sbarrava l’accesso ha riposto la sua spada di fuoco. Quelle braccia aperte sono l’immagine visiva della dilatazione del cuore di Cristo, cuore dilatato fino a lacerarsi, a lacerarsi ben prima del colpo di lancia. È la genesi dell’uomo in Dio. Perché ogni amato nasce dalla ferita del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce dal cuore trafitto del suo creatore. Io nasco alla croce. O battezzati nel sangue e nel fuoco,/ gente uscita dal cuore di Cristo (D. M. Turoldo).

E capisco la vita: essa non è oggetto di possesso o di rapina, ma dono di sé. E quando cessi di trasmettere vita, in quel preciso istante tu la perdi, si dissecca in te la radice. E capisco che Dio e la vita sono dono reciproco di sé. Sento, con gioia, che spirituale e reale coincidono. Allora posso intonare, sottovoce e con emozione, il canto dei redenti: la croce è davvero la gloria della vita.


 

TENEBRAE

Noi siamo vicini, Signore,

vicini, afferrabili.

Afferrati di già, Signore,

gli uni all'Altro abbrancati, come fosse

il corpo di ciascuno di noi,

Signore, il tuo corpo.

Prega, Signore,

pregaci,

siamo vicini.

Curvi e sghembi noi andammo,

andammo, per piegarci

su dolina e cratere.

Andammo, Signore, all'abbeverata.

Ed era sangue, era ciò che tu

hai versato, Signore.

E luccicava.

Nei nostri occhi esso gettò la tua immagine, Signore.

Occhi e bocca stanno così aperti e vuoti, Signore!

Noi abbiamo bevuto, Signore.

Il sangue, e l'immagine ch'era nel sangue, Signore.

Prega, Signore

Siamo vicini.

 (da: P. Celan, Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di G. Bevilacqua (= I Meridiani), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998 [20015]: 273).

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