Il perdono incondizonata e al logica della croce
Il perdono incondizionato e la logica della croce
La questione
Oggi vorrei parlare ad un gruppo di persone molto specifico nella chiesa, ossia quelle che sono mai state offese nella loro vita. C’è per caso qualcuno o qualcuna qui oggi che è mai stato insultato, oltraggiato, ingiuriato, disonorato, umiliato, diffamato or altrimenti violato? Ecco, il messaggio di oggi è per te.
La mia tesi è semplice: troppo facilmente noi credenti, quando offesi, diventiamo noi colpevoli davanti a Dio perché ostacoliamo la riconciliazione, non sopportando i torti fatti a noi. Questa mancanza si può manifestare in diversi modi, ma particolarmente nel non voler perdonare se prima l’offensore non abbia chiesto perdono.
La questione se dobbiamo perdonare un fratello che non chiede perdono, è abbastanza discussa nelle chiese. Di solito il dibattito si base sul modo in cui il Signore perdona:
· Gruppo A: Prima che Dio perdona qualcuno, vuole che la persona si umilia davanti a Lui, ravvedendosi e chiedendogli perdono per i suoi peccati.
2 Cr 7:14 se il mio popolo, sul quale è invocato il mio nome, si umilia, prega, cerca la mia faccia e si converte dalle sue vie malvagie, io lo esaudirò dal cielo, gli perdonerò i suoi peccati, e guarirò il suo paese.
Quindi, prima di perdonare un fratello, questi deve chiedere perdono.
· Gruppo B: Nel sangue di Cristo il perdono è già stato effettuato per tutte la anime. Chi va a Dio per chiedere la remissione dei debiti, non effettua il perdono ma si appropria di esso, il quale esiste già.
Ro 5:18-19 18 Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. 19 Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l' ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti.
In questo brano, vediamo che mediante un solo uomo (Gesù) “la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini”. Questo concetto è analogo a come siamo tutti resi colpevoli mediante la disubbidienza di un solo uomo (Adamo).
In altre parole, il perdono (compreso nella giustificazione) esiste già per tutti grazie alla morte di Cristo, ma non tutti vengono a Gesù per essere costituiti giusti/perdonati (v.19). Respingendo il dono del perdono, questi non si appropriano di esso. Di conseguenza non vengono riconciliati con Dio e muoiono nei loro peccati.
Ecco, la discussione in linea di massima. Vi avverto subito la mia posizione sulla questione: Sia gruppo A sia gruppo B ha ragione. Le due posizioni sono due lati della stessa medaglia. Ma quando parliamo della questione dal punto di vista della persona offesa, dobbiamo sottolineare la posizione del gruppo B.
La ragione biblica per praticare il perdono incondizionato
La ragione biblica per cui il perdono debba essere praticato incondizionatamente è che esso non si basa sul rapporto tra il credente offeso e il suo offensore, ma sul rapporto tra la persona ferita e Dio:
Ef 4:32 Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo. (Vedi anche Cl 3:13).
Nel testo greco di Efesini, l’imperativo tradotto «perdonandovi a vicenda» significa letteralmente: «concedete senza compenso la grazia gli uni agli altri». La concessione della grazia è “senza compenso” e ha come modello il perdono che Dio ha concesso a noi in Cristo, quando noi eravamo ancora peccatori impenitenti (Ro 5:8), senza forza (Ro 5:6) e addirittura nemici di Dio (Ro 5:10).
Ro 5:6 Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi.
Ro 5:8 Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
Ro 5:10 … mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo
In altri brani, la grazia che Dio ha manifestato nei nostri confronti viene applicata alla chiesa, affinché i credenti imparino ad essere come Dio è stato con noi, gli uni con gli altri.
1 Cor 6:7 Certo è già in ogni modo un vostro difetto che abbiate fra voi dei processi. Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?
1 P 3:9 Non rendete male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione.
Ancora una volta, dobbiamo ricordare che il perdono incondizionato non deriva dalla bontà degli uomini ma di Dio nei nostri confronti:
Rom 4:8 Beato l'uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato».
2 Cor 5:19 Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione.
Or direi che sia impossibile trovare un vero credente che non si rallegra davanti al perdono incondizionato di Dio nei nostri confronti. Ma quando guardiamo nei nostri cuori con l’onestà, non è vero che spesso siamo convinti che è giusto e secondo la verità di Dio di imputare o addebitare ai nostri fratelli le loro colpe? Non è vero che facilmente (al minimo) al livello di cuore ragioniamo così: “Finché quel fratello non si umili davanti a me per chiedermi perdono, continuerei ad addebitarlo l’offeso che mi ha fatto”?
Poi, per rafforzare la nostra posizione dura, cerchiamo come alleati la verità e la giustizia di Dio, dicendo: “Ho ragione io. La giustizia di Dio esige che l’altro paga per il suo peccato.” Ma non è questa veduta un po’ troppo limitato? La Parola di Dio è davvero così “bianco e nero”? Non è più il caso che la vita con il Signore ha a che fare più con i gradi di eccellenza anziché i fatti determinati in assoluto?
Non è vero che una mente trasformata dalla grazia di Dio in Cristo può benissimo dire: “E’ buono che il credente perdoni un fratello quando questi si ravvede, ma che è ancora meglio quando quegli non gli addebita il male dal primo istante”?
Il perdono e la logica della croce
Non è sempre questa, però, la pratica nelle nostre chiese. Gesù spiega perché è così: la via per eccellenza è angusta, e sebbene molti siano chiamati a percorrerla pochi sono quelli che la trovano (Mt 7:14).
Questa via è per il discepolo che rinunzia a sé stesso, che prende la sua croce e che segue Gesù fino alla morte del proprio io (Lu 9.23). Non addebitare il male, subire il danno, porgere l’altra guancia sono pratiche ragionevoli e raggiungibili solo per quelli che sono entrati nella «logica della croce».
Chi entra in questa logica, percepisce che perdonare senza richiedere prima il perdono è di gran lunga superiore all’esigere il perdono come se fosse un pagamento dovuto. Giacomo scrive, infatti, che la misericordia ha trionfato sul giudizio (Gm 2:13) mentre lo stesso Signore Gesù dice:
At 20:35 Vi è più gioia nel dare che nel ricevere.
Una domanda che ci aiuta a mettere la questione nella giusta prospettiva, è la seguente: «Quando i figli peccano contro il Padre celeste, Dio interrompe la comunione con loro fino a che non si ravvedono e chiedono il perdono?»
Credo che molti credenti pensino che Dio faccia proprio così. Ogni peccato commesso richiede un nuovo «sacrificio» da parte del trasgressore per soddisfare la giustizia di Dio. Questo «sacrificio» è un pagamento, un saldo del conto, non con il denaro ma in forma di ravvedimento, di confessione o di richiesta di perdono. Certo, è vero che il Signore richiede il ravvedimento e la confessione, ma la questione è se queste esigenze servano per soddisfare la sua giustizia o se servano per qualche altro fine.
Dobbiamo rifiutare del tutto il suggerimento che Dio possa richiedere qualche «sacrificio» dopo una trasgressione per soddisfare la sua giustizia e per il ristabilimento dei suoi figli. Un tale modo di pensare e di vedere si scontra frontalmente con il messaggio del vangelo. Guardiamo di nuovo a due brani che abbiamo già visti:
Ro 5:6-8 6 Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. 7 Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; 8 Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
2 Cor 5:19-21 19 Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. 20 Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. 21 Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui.
La comunione che Dio ha stabilito con i suoi mediante la riconciliazione in Cristo, è immutabile, eterna, incondizionata. Sbagliamo quindi se pensiamo che Dio interrompa la comunione con i suoi figli per tutto il tempo che rimangono impenitenti. Il Signore non è come «un fratello offeso» che diventa «più inespugnabile di una fortezza» (Pr 18:19), perché per amore di Cristo non addebita più il male ai suoi figli. Se vogliamo, patisce invece i torti con grazia.
Per molti credenti, però, «patire il torto» significa in realtà «tollerare il torto» anche se contro la propria volontà. Un tale «patire» scaturisce da un’ubbidienza forzata e non dalla conoscenza della grazia di Dio nei nostri confronti. Chi sopporta il fratello in questa maniera, patisce il torto ma allo stesso tempo gli addebita il male nel suo cuore. Chi esercita un ministero pastorale, infatti, si trova abbastanza di frequente davanti al fenomeno del credente fiero del suo zelo per la giustizia e la verità. Di solito questi si autoproclama una persona «realista» che, nel nome della giustizia e della verità, non può chiudere un occhio sulla trasgressione del fratello. Ma conoscendo la Bibbia, sa che deve in qualche modo subire il danno. Per essere ubbidiente a Dio, quindi, cerca di sopportare il male anche se contro la sua volontà. Se per via di un carattere forte, riesce a trattenersi dal farla pagare direttamente all’offensore, si vendica prima o poi in altri modi, come, ad esempio, con l’ansia o con la rabbia o sparlando del fratello dietro alle sue spalle. Il motivo per l’evitabile caduta è che una tale sopportazione è semplicemente l’ascetismo religioso del tipo praticato finora da quasi tutte le religioni del mondo. È un esempio dell’essere umano che prova a superare i propri istinti con le proprie forze. È un esempio del grande errore commesso da molti credenti, ossia il tentativo di sovrapporre la volontà di Dio al vecchio uomo. È l’ubbidienza che proviene da una volontà incerta non ancora trasformata dalla croce.
«Patire» il torto e allo stesso tempo addebitare il male è controproducente. Per subire i torti degli altri, volendo imitare Cristo, ci vuole una mente del tutto rinnovata, non solo dalla grazia ma anche nella grazia di Dio. In altre parole, mediante la grazia, la nostra mente deve diventare un organo spirituale che percepisce tutta la realtà tramite le lenti della grazia. Ciò significa che quando un fratello mi offende, subisco il torto sapendo che tutte le mie offese sono state perdonate per le sofferenze di un Altro, cioè Cristo, quando ero ancora impenitente e innamorato dei miei peccati. Conoscendo l’amore di Dio nei miei confronti, «trasferisco» questa grazia (che mi è stata mostrata per prima) su mio fratello ancora impenitente e, forse, convinto di avere ragione lui! Quando i fratelli patiscono un torto, quindi, lo devono fare con la gioia che deriva dalla conoscenza che Dio non ha addebitato loro il male.
Che Dio agisca così e che noi siamo chiamati ad imitare il modello divino non significa che Lui o noi fingiamo di non vedere il peccato degli altri. Ma il Dio trino è un Dio personale e noi siamo stati creati a sua immagine. Ciò che importa a Dio più di ogni altra cosa, quindi, è l’uomo. Il peccato ostacolava una relazione personale tra Dio e gli uomini; perciò Cristo è stato mandato per morire al peccato in modo che potesse occuparsi delle persone. Dio è infinito e così c’è una quantità infinita di cose che possiamo sapere di Lui. Ma le cose servono a portarci alla conoscenza delle Persone della Trinità: Padre, Figlio, Spirito.
La chiesa quindi deve essere un popolo che si occupa delle persone più di ogni altra cosa, e in modo particolare dei fratelli e dei loro rapporti interpersonali. La verità deve servire a stabilire e a ristabilire i rapporti, e non ad interromperli. Cristo è morto per i nostri peccati, affinché mediante la riconciliazione con Lui noi potessimo vivere in pace con i nostri fratelli. Chi addebita il male, chi non patisce i torti degli altri, chi si concentra sui peccati dei suoi fratelli, non è ancora entrato nella logica della croce. Più importante di qualsiasi eventuale torto è la riconciliazione per la quale Cristo ha dato la sua vita. Chi non vede questo, continuerà ad insistere sul fatto che non si può perdonare qualcuno che non abbia chiesto prima perdono. Persone del genere esigeranno sempre la soddisfazione di una giustizia basata sulla legge. Dio stesso è soddisfatto con l’opera di suo Figlio, ma molti credenti pretendono sempre un pagamento in più. Hanno ricevuto la grazia, ma non la condividono con gli altri. Per loro c’è più gioia nel ricevere che nel dare.